
L’espressione nativi digitali è stata coniata da Mark Prensky nel 2001, ma il suo significato è cambiato più volte nel tempo. (Wikipedia)
Oggi, con il termine “nativi digitali” si fa generalmente riferimento a quelle persone nate dopo gli anni 2000.
Sono stati fatti molti studi su questo gruppo di persone e sul modo in cui la tecnologia impatta sul loro sviluppo.
In particolare le preoccupazioni maggiori sono 3:
- incapacità di focalizzarsi su un compito, a causa del cosiddetto multitasking e delle continue notifiche, tra messaggi e social network
- incapacità di creare delle relazioni sociali forti e durature, poiché la maggior parte di queste relazioni ha luogo a distanza, dove empatia e doti comunicative hanno un’importanza molto inferiore
- coinvolgimento in azioni di cyberbullismo (come bulli o come vittime) e diffusione di contenuti inappropriati
E’ davvero tutto così preoccupante?
Cosa puoi fare tu come genitore per evitare tutto ciò?
Il multitasking
Avrai molto probabilmente sentito parlare del multitasking, cioè quell’abilità che permette di fare più cose contemporaneamente.
In realtà il significato della parola multitasking è lievemente diverso.
Diventato di uso comune nel campo informatico all’inizio degli anni 90, il multitasking permette di eseguire due programmi contemporaneamente, il che è diverso da fare due cose contemporaneamente.
Ad esempio, se viene chiesto al sistema di eseguire contemporaneamente due processi A e B, la CPU eseguirà per qualche istante di tempo il processo A, poi per qualche istante successivo il processo B, poi tornerà a eseguire il processo A e così via.
La stessa cosa accade quando lo facciamo noi. Non ti convince?
Ok, ti invito a fare una prova molto semplice:
Prova a pensare a una cosa che devi fare, come ad esempio il dover fare la spesa.
E ora prova a pensare a un’altra cosa che devi fare, come ad esempio andare a prendere tuo figlio a scuola.
E adesso prova a pensare a tutte e due le cose insieme.
Mi raccomando, insieme e non prima una e poi l’altra alternandole velocemente. Tutte e due le cose nello stesso identico momento.
Non ci riesci vero?
E’ normale, questo perché la nostra mente per quanto veloce possa essere, esattamente come un computer, esegue un’azione alla volta.
Questo passaggio da un’azione a un’altra richiede però un certo quantitativo di risorse; nel nostro caso, un certo quantitativo di attenzione.
Sappiamo che l’attenzione è una risorsa limitata, perciò è del tutto naturale che con un attitudine al multitasking ci sia meno attenzione disponibile per focalizzarsi su un’unica attività a lungo termine.
Inoltre, essendo la mente dei nativi digitali abituata a saltare da un’azione all’altra, sarà più propensa a preferire il multitasking piuttosto che dedicarsi ad un unico lavoro.
I ragazzi di oggi passano da un’app a un’altra, da un dispositivo all’altro, e allo stesso modo da un’attività all’altra con estrema facilità.
Però, come abbiamo detto, questa strategia fa sì che gli risulti difficile focalizzarsi su un unico compito per un periodo di tempo prolungato, con la conseguenza che questo tipo di persone fa più fatica a raggiungere determinati obiettivi nello studio e nel lavoro rispetto alle generazioni precedenti che sono più orientate al raggiungimento di questi obiettivi, e possibilmente in fretta.
Ma d’altro canto le generazioni precedenti non sono molto diverse da quelle attuali.
Ad esempio sono più propense a ragionare per obiettivi, sono anche più propense a mettere in secondo piano la propria vita privata rispetto al lavoro.
La reperibilità delle informazioni
Da circa 500 anni a questa parte, cioè da quando il sistema scolastico e la stampa hanno iniziato il loro progresso, abbiamo sempre studiato attraverso i libri.
Fino anche solo a 50 anni fa non era facile reperire informazioni.
Negli anni ’60 non c’erano telefonini e computers, e le televisioni in Italia erano ancora troppo care per molte persone, tant’è che solo negli anni ’70 si inizia ad avere una televisione per famiglia, ma i programmi non erano certo quelli di oggi.
Quindi la forma di cultura più gettonata erano i libri, per lo più attraverso il sistema scolastico, e così è rimasto fino a 20 anni fa.
Infatti anche se la televisione nel frattempo si era evoluta, offriva comunque un palinsesto predefinito, per cui non potevi scegliere tu cosa guardare.
L’on demand non esisteva, e nemmeno Google…
…o almeno così era fino a 20 anni fa, nel ’98 appunto!
Negli anni successivi alla nascita di Google le persone hanno iniziato a cercare quello che volevano quando lo volevano, ma il vero boom è arrivato qualche anno dopo.
Infatti da una parte le persone che non erano abituate a questo tipo di tecnologia ci hanno impiegato un po’ per abituarsi, e ancora oggi a molti non viene in mente di cercare su Google se hanno bisogno di qualcosa.
Dall’altra parte i ragazzini che si sono trovati davanti questa tecnologia qualche anno dopo non se lo sono fatto ripetere due volte.
Ma le cose sono cambiate davvero dopo il 2007, quando gli smartphone hanno fatto il loro ingresso nel mercato, e allora le persone hanno iniziato a cercare quello che volevano, quando volevano e dove volevano.
Oggi tutte le informazioni sono facilmente reperibili e i ragazzi sanno come trovarle. (Se vuoi avere un’idea della quantità delle informazioni disponibili oggi puoi visitare questo sito, è qualcosa di incredibile)
Questo vuol dire che saranno sempre in grado di reperire le informazioni di cui hanno bisogno, ma che proprio a causa di questo non vedono la necessità dello studio scolastico.
Probabilmente ci vorrà molto tempo prima che la scuola si adegui a questa nuova disponibilità di informazioni.
Ci sono però alcune abilità molto utili ma a cui viene dedicata un’attenzione scarsa o nulla, come:
- la capacità di creare relazioni sociali
- l’empatia
- la creazione di determinati modi di ragionare
- la capacità di cercare le informazioni necessarie e riconoscere quelle attendibili da quelle non attendibili
- e, come abbiamo visto nel punto precedente, la capacità di focalizzarsi per raggiungere un obiettivo
L’insegnamento di queste abilità dovrebbe essere per lo meno affiancate allo studio delle materie tradizionali poiché sono abilità che verranno usate per tutta la vita.
Queste abilità, inoltre, possono essere insegnate sia dagli insegnanti che dai genitori, soprattutto fintantoché il sistema scolastico non si adegua (il che ovviamente non è una colpa dei professori).
Questo richiede pazienza (tanta pazienza), amore e curiosità, per cercare di vedere il mondo con i loro occhi, riuscendo così a capirli meglio e di conseguenza a guidarli meglio, almeno finché non si inventeranno un’app che sostituisca completamente la figura dello psicologo (…ma dubitiamo).
Comunque finché questa fantomatica app non c’è, i ragazzi che riceviamo in studio hanno fondamentalmente 2 bisogni:
- scoprire e comprendere degli aspetti di sé
- scoprire e comprendere gli aspetti degli altri, e quindi come gestire le relazioni
Abbiamo già parlato altre volte (più o meno in un’altra dozzina di articoli) dell’importanza di dare una guida ai ragazzi anziché cercare di limitarli o cercare di spiare quello che fanno col telefono per paura che succeda qualcosa di grave.
A tal proposito suggeriamo di guardare questo video della dott.ssa Devorah Heitner (ci sono anche i sottotitoli in italiano), che si occupa del rapporto tra i ragazzi e la tecnologia, il cui contenuto è riassunto molto (ma molto molto) brevemente nelle 2 righe sopra.
Altri dati sui nativi digitali
Nel 2008, il dott. Gary Small del Los Angeles Brain Institute promosse l’idea, attraverso delle ricerche, che il cervello dei nativi digitali fosse strutturato diversamente per via dell’uso delle tecnologie fin dalla tenera età.
Un’altra ricerca del Los Angeles Brain Institute, inoltre, dice che i ragazzi cresciuti accanto alla tecnologia, essendo abituati a vedere immagini, hanno una mente più portata a vedere immagini e video piuttosto che leggere testi.
Sempre parlando di testi, il cervello dei ragazzi abituati alle tecnologie risulta coinvolto più attivamente scorrendo sullo schermo dello smartphone che non a leggere del testo stampato.
Ma ancora una volta il punto non sta nel discriminare queste differenze come fossero difetti, ma semplicemente vederle per quello che sono: differenze.
Ad esempio, negli anni ’80 sono stati inventati gli SMS per facilitare la comunicazione tra gli ingegneri nei vari reparti e gestire meglio guasti e interruzioni.
Inutile dire che era inimmaginabile allora pensare che la messaggistica istantanea avrebbe avuto tutto questa popolarità.
Ma è anche vero che sono passati 30 anni, per cui la generazione che ha creato questo servizio non è la stessa che lo ha reso il servizio che tutti usiamo oggi.
E allo stesso modo, l’internet come lo conosciamo oggi sarà stravolto tra 20 anni dai bambini che oggi sono all’asilo.
Un’altra prospettiva positiva arriva dagli studi del prof. Jeff DeGraff, secondo cui i nativi digitali hanno una visione più egualitaria del mondo, poiché su internet non ci sono tutte queste differenze tra una persona e un’altra.
Ci sono moltissime persone che riescono a ottenere una buona visibilità e la maggior parte di queste persone lo fa dando valore agli altri, perciò per loro questo valore diventa importante.
In conclusione
E’ importante rispettare le differenze dovute alle diverse esperienze che i ragazzi di oggi fanno, rispetto a quelle che abbiamo fatto noi 20/30 anni fa quando tutta sta roba tecnologica non c’era.
Quello che dobbiamo fare è guidarli al meglio, sfruttando le nostre esperienze personali e le informazioni che possiamo reperire sul web grazie a professionisti del settore che diffondono informazioni preziose, che ci permettono di sopperire alle nostre naturali mancanze.
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